10 luglio 2007

La giustizia non può attendere.

Le cronache politiche di queste settimane sono alimentate da due storie che tutti vorrebbero non fossero vere. La vicenda di Genova G8 e lo spionaggio/schedatura a danno di magistrati, uomini pubblici, ecc.
In casi come questi è di prammatica premettere che si tratta di indagini in corso, che occorre attendere l'esito, che occorre che la giustizia faccia il suo corso, che è sbagliato e scorretto anticipare sentenze, ecc. ecc..
Non è difficile capire che, come per tante altre vicende più o meno sconcertanti, più o meno misteriose, la gravità delle notizie che ci arrivano intorno a queste due vicende provoca in tutti una domanda di verità rapida e chiara.

E poiché spesso questo non succede, quelle regole garantiste valgono per quanto riguarda la giustizia ufficiale, ma non valgono per l'opinione pubblica, che non può stare per anni in attesa di sapere in che paese viviamo. Non stiamo parlando di episodi di cronaca nera dove, in mancanza di meglio, si costruiscono puntate televisive e sostituti del varietà, dopo i quali ognuno torna ad occuparsi delle proprie vicende. Sulle storie delle quali stiamo parlando è difficile dare un'occhiata ai giornali o ai telegiornali e poi tornare ad occuparsi degli affari propri come se niente fosse. E' vero, le notizie che ci arrivano in questi giorni non sono tanto nuove, ma oggi hanno il timbro dell'ufficialità. Non un cambiamento marginale, tutt'altro.
E le informazioni che via via si accumulano scavano dentro di noi una sensazione di smarrimento perché, anche se manca la certezza della verità della giustizia ufficiale, dentro di noi sappiamo che quei fatti sono almeno verosimili. E già questo non vorremmo che fosse vero. E non è come per un delitto delle brigate rosse o per un attentato terroristico. Qui facciamo fatica a dirci che tra stato, cittadini e violenza i ruoli si sono confusi e invertiti. Chi doveva proteggerci ha cambiato casacca e il cittadino è rimasto solo e in balia. Qui i nostri tutori e interpreti si sono sentiti liberi di usare la nostra fiducia per un uso opposto a quello dovuto.

Ci viene in mente l'Argentina ma non vorremmo esagerare, ci vengono in mente gli stati di polizia ma non vorremmo crederci. E poi riflettiamo cercando di dirci che qualche cretino in giro c'è sempre, che nel cesto c'è sempre la mela marcia e quindi non c'è da meravigliarci. Cerchiamo di dirci tutto questo, ma nel momento stesso che facciamo questo sforzo sentiamo anche che questa "filosofica" spicciola in questi casi non regge; che il richiamo ad attendere la giustizia ci impedisce di dire quello che pensiamo ma non di pensare. C'è la sensazione che il paniere sia infetto. E dobbiamo ricorrere a tutto l'autocontrollo possibile per non esser disperati, per non abbandonarci alla sensazione della sconfitta e dell'impossibilità di rinascere. Cerchiamo di pensare che la real politik alle volte può essere anche questo ma che si tratta di episodi, disgraziati, ma non sono la norma.

Ma non possiamo attendere che il tempo e la volontà di sopravvivere cancelli il ricordo anche di queste vicende. Vorremmo sperare in un giudizio rapido, vorremmo che qualcuno autorevole e credibile ci rassicurasse, ma vorremmo vedere intanto una reazione che ci dica che non siamo soli e che l'assedio per ottenere la verità sollecita è più forte di ogni difficoltà o volontà contraria. Forse così potremmo ritrovarci. Tutti, o almeno tutti gli uomini di buona volontà. Dopo torneremo a dividerci legittimamente sulla politica.

                                               S. F.

 

Nessun commento: