23 marzo 2014

I MIEI ANNI SETTANTA di Giuseppe Aldo Buzzanga Ah, se avessi ancora il mio archivio, purtroppo cestinato! E queste bozze che mi riportano date che non combaciano con quelle che avevo in testa e accrescono la mia confusione! Allora? O rinuncio o mi lascio andare sull’onda dei ricordi accantonando ogni pretesa di sintesi e d’oggettività. Non scriverò, pertanto, del PDUP, come mi è stato richiesto, ma di come uno straniero ha vissuto gli anni Settanta a Pinerolo, appunto, come il titolo, “rumori di fondo”, quello che ricordo. I miei ricordi non possono essere antecedenti alla fine di Novembre 1971, mese e anno in cui da Catania mi sono trasferito a Pinerolo. Forse è meglio dire sono emigrato, poiché così avevo vissuto la decisione di accettare la supplenza annuale in una scuola di Pinerolo, con la fierezza di rivivere (anche se la mia condizione sociale era più privilegiata) l’umiliazione che generazioni di lavoratori meridionali avevano vissuto, sostenuto dall’Inno dei lavoratori e da L’internazionale, che mi ronzavano nella testa e mi aiutavano nei momenti di sconforto. Gli anni dell’Università mi avevano fatto crescere. Ero stato per qualche tempo simpatizzante del Partito comunista m-l, “Servire il popolo” di Aldo Brandirali, ma ero scappato via impressionato da quel partito-chiesa e per reazione ho simpatizzato per l’anarchismo, poi, per caso, trovandomi a Bologna, per ammazzare il tempo, notai in un’edicola una rivista di cui in quei mesi si parlava tanto: “il Manifesto”, la comprai e, come Paolo sulla via di Damasco, fui folgorato. Avevo trovato la mia area politica, dalla quale, forse, non mi sarei più staccato. L’atteggiamento mentale che mi accompagnava era quello di conoscere, capire i barbari piemontesi, senza imporre nulla, senza volermi integrare, ma crescere io, aiutandoli a crescere. Attenzione, quindi, e guicciardiniana discrezione. Il mio primo impatto con Pinerolo fu entusiasmante: camminando lungo Corso Torino, in una mattina di sole con l’atmosfera tersa, rimasi incantato dalle vette delle montagne innevate, mentre sentivo che il freddo mi tagliava le gambe e poi … i Portici. Mi ero già imbattuto nei portici a Bologna, ma dalle mie parti sono una struttura inutile visto che per undici mesi l’anno è primavera. I Portici a Pinerolo erano il luogo dello struscio (lenta passeggiata) dei Meridionali ed era facile distinguere i Meridionali dai locali dalla velocità di percorrenza dei Portici di Corso Torino. Mi confidò un giorno Fulvio Gottero che era più forte di lui, ma effettivamente o evitava i Portici o li percorreva velocemente, sentendosi altrimenti in colpa, come se la passeggiata fosse una perdita di tempo e quelli che passeggiavano dei perdigiorno. Senza volerlo e per collegamenti logici stavo approdando al confronto spietato con la massima “il tempo è denaro”, da società industriale, nonché ad una commistione tra cultura ed etica cattolica e protestante, per ovvi motivi molto accentuata da queste parti, che mi era nota in teoria, ma che ora verificavo nei comportamenti concreti e quotidiani e che sentivo e sento che non mi appartiene. Un’altra novità, che colpì la mia immaginazione, fu la trasbordante gentilezza dei negozianti. Non si trattava di quel noto detto sui piemontesi, ma dell’estrinsecazione di una mentalità mercantile. Oggi, uno spot televisivo che imperversa sui teleschermi, ripropone la logica che l’acquisto anima il commercio e il commercio è il volano dell’economia, quindi il sistema capitalistico deve essere grato e gentile con chi acquista. Certamente grande fu lo stupore nell’accorgermi che nel profondo Nord, un paese come Buriasco, dove si trovava la sede staccata della S.M.“F. Brignone” di Pinerolo, che avrei dovuto raggiungere tutti i giorni nel primo pomeriggio, non era servito da mezzi pubblici sufficienti. Esisteva, infatti, un pullman che da Pinerolo andava a Buriasco alle 6.30 e un altro che effettuava il percorso inverso alle 18.30. Anche questo, per me che venivo da località turistiche, era altra cultura, cioè che i mezzi pubblici di trasporto fossero funzionali solamente al mondo del lavoro. In quell’anno scolastico le mie energie vitali si concentrarono sulla sopravvivenza all’ambiente, al disagio, alla solitudine e alla logistica. Spesso la sera per ammazzare il tempo andavo al cinematografo. Prediligevo un locale che mi appariva d’altri tempi, il “Cine-Teatro Sociale”. Mai visto qualcosa di simile: bello e caratteristico pur essendo sporco e polveroso. Mi colpivano il parquet in legno, anche se riflettevo (ahimè!) sui rischi d’incendio (tra le altre cose, come in tutti gli altri locali pubblici, era consentito fumare), gli arredi e i tendaggi, testimonianza di uno splendore passato, ed i palchetti che lateralmente contenevano allineati dei sedili che consentivano di isolarsi da sconosciuti. Con grande gioia venni a sapere che a Pinerolo, al Primavera, sarebbe venuta Lidia Menapace de “il Manifesto”. Non è che la conoscessi personalmente, ma rispetto al luogo in cui mi trovavo era una figura familiare. La sera, con il mio consueto abbigliamento da prof, in giacca e cravatta, mi recai in quel locale. Il Primavera era un enorme stanzone in terra battuta, non riscaldato, con una serie di sedili da cinematografo allineati e, a completamento, delle panche. Arrivai per tempo e presi posto a metà sala, posti centrali. Man mano che arrivavano altri convenuti e la sala andava riempiendosi, costatai che tutti evitavano accuratamente di occupare i posti accanto a me. Per farla breve, si creò una situazione grottesca, la sala era stracolma, con gente in piedi o seduta per terra ai bordi, ma al centro c’ero io e tre file di posti vuoti. Ho dovuto far leva sulla mia forza psicologica per non alzarmi e andare via. Alla fine mi si avvicinò un giovane dai capelli neri, ricci, folti e crespi, con baffetti e occhi spiritati, che tormentandosi il mento come se volesse da esso spremere sapienza, mi chiese chi fossi. Si trattava di Claudio Foti, verosimilmente incaricato dai compagni di scoprire se per caso fossi uno sbirro infiltrato. Mi accorsi che con gesti e mimica facciale rassicurò gli altri sulla mia identità. Meno male! Per un attimo avevo temuto che anche nella sinistra extraparlamentare ci fossero pregiudizi razzistici, non saprò mai se si sarebbero comportati nello stesso modo se lo sconosciuto avesse avuto capelli biondi e occhi azzurri (forse è meglio non saperlo!). A pochi giorni dalla mia partenza per la Sicilia per le votazioni, mi soffermai a parlare (eravamo in C.so Torino, nei pressi dell’attuale Museo della Cavalleria) con un supplente di Scuola Media di Lettere sui generis. Fuori età per essere un supplente (mi confiderà di essersi laureato in Giurisprudenza), con inflessioni venete, dotato di lunghi capelli bruni e di una folta barba che si muoveva con la stessa armoniosità del suo eloquio, Dante direbbe “degno di tanta riverenza in vista…”. Si trattava di Sergio Pasetto, che avendo saputo delle mie simpatie per “il Manifesto”, esprimeva, ricambiato, la speranza sui buoni risultati per la lista del giornale-partito nelle prossime elezioni politiche. I risultati del sette maggio, invece, furono deludenti. Lo Psiup e il Manifesto al Senato ottennero un misero 0,7%, non riuscendo a fare eleggere Pietro Valpreda, candidato nella lista. Il 16 giugno 1972, a Roma, si tenne presso il teatro Centrale l’assemblea della minoranza Psiup (sotto la leadership di Vittorio Foa) che si oppose allo scioglimento del partito, con Miniati, Lettieri e Ferraris. Il 13 luglio 1972, iniziò il congresso nazionale del Psiup che, a grande maggioranza, decise lo scioglimento del partito e la confluenza nel Pci. L’8-9 luglio 1972, a Roma, si era svolta l’assemblea nazionale del Mpl (Movimento politico lavoratori) che cristallizzava la spaccatura verticale fra l’ala di Labor, che guardava in direzione del Psi, e una componente critica, rappresentata da Giovanni Russo Spena. Il nuovo anno scolastico mi vedeva pieno d’entusiasmo per tre motivi. Mi ero sposato, una legge trasformava la mia supplenza in incarico a t.ind. per le Libere attività complementari, la mia nuova sede era la scuola media “Gouthier” di Perosa Argentina. Avevo elaborato, inoltre, l’idea che, per uscire dalla frustrazione dell’anno precedente, avrei dovuto riempire di metodo e di contenuti l’insegnamento. Ebbi la fortuna di trovare una valida collaborazione nella mia collega del doposcuola. Mariella Coalova, figlia di Sergio, ex partigiano sopravvissuto al campo di sterminio di Mauthausen, sposata con Paolo Baral di Lotta continua e mamma del piccolo Luca, era molto sensibile a certe problematiche. Il giornalino del doposcuola, infatti, riportava le interviste ai minatori della Gianna, faticosamente sbobinate da Mariella e dai ragazzini e riportate in patois, oppure si soffermava sulle canzoni o sui fatti locali della lotta partigiana, con testimonianze di padri e nonni degli allievi. Per me, che sapevo della Resistenza per averla studiata sui libri (in Sicilia, subito liberata dopo lo sbarco degli angloamericani e l’armistizio di Cassibile, non fu necessaria la guerra di liberazione), quell’esperienza fu entusiasmante. Prendemmo contatto, inoltre, con gli istitutori del Convitto valdese di Pomaretto, che accoglieva bambini con difficoltà familiari. Va detto che le famiglie benpensanti di Perosa non vedevano di buon occhio questo scambio di visite tra i bambini della scuola pubblica e quelli del Convitto, ma non ci siamo lasciati intimidire dalle lamentele. Questo è stato il mio primo vero contatto con l’ambiente valdese e ne rimasi positivamente colpito. Pur essendo cattolico di nascita, ma ateo e addirittura anticlericale per formazione, ho coltivato da allora una certa simpatia per i valdesi e per la loro intrinseca tolleranza verso gli stranieri (quantomeno fino alla contaminazione leghista). Prendemmo contatto anche con il Collettivo operaio di Perosa, dove ebbi modo di conoscere lo scostante (al primo impatto) e sarcastico Piero Baral. Quelli erano, tuttavia, tempi difficili per tutti. Il 1 aprile 1973, il quotidiano "Il Manifesto" riportava alcuni casi di repressione d’insegnanti “scomodi”. “A Milano, è stato licenziato il professor Giacinto Di Leo della Cgil per avere espresso in un’assemblea "giudizi non graditi". Altre due insegnanti sono state colpite, una ad Ancona e l’altra a Monastir in Sardegna, per aver dato agli studenti informazioni sulla guerra in Vietnam, con la motivazione della "offesa ad un capo di stato estero"; il professor Giuseppe Pipitone di Palermo invece "per aver svolto costante opera d’indottrinamento politico degli alunni con l’insegnamento di canti di determinate politiche" ”. Anch’io subii una forma di repressione. La Preside, infatti, convocò un collegio docenti per denunziare il misfatto da me commesso. Per l’attività teatrale avevo organizzato una recita su una libera riduzione dell’opera di Brecht, Terrore e miseria nel Terzo Reich. Per scuotere un pigro undicenne dalla sua indolenza, l’avevo incaricato di rappresentare (il disegno era l’unico suo interesse) su un fondale delle scene di guerra. Tutto fu eseguito con perizia, tuttavia, il carro armato che giganteggiava, riprodotto dall’illustrazione di un’enciclopedia scolastica, era statunitense. Da ciò l’accusa: io surrettiziamente avrei fatto passare l’idea, allora molto presente negli slogan della sinistra, USA=SS. L’ultimatum che mi poneva la Preside era di recedere dal proseguire con le libere attività (ripiegando su ripetizioni d’Italiano e Latino), in caso contrario avrebbe chiuso il doposcuola. Tutto si concluse con un nulla di fatto per l’intermediazione di alcuni insegnanti del mattino, Vanda Giordano, Ico Vallillo e Claudio Tron, ma a fine anno la Preside mi abbassò di due punti la valutazione del servizio. In seguito a questo mi avvicinai alla CGIL-Scuola. Gli insegnanti della CGIL-Scuola si riunivano in una sala della Camera del lavoro di via Demo (se ricordo bene il Lunedì) ed erano accolti e sorvegliati paternamente da Eugenio Morero. Il leader indiscusso era Mauro Ughetto, ma erano tanti gli insegnanti che frequentavano assiduamente: Elio Salvai, Piero Bassani, Rosella Priotto, Fulvio Gottero, Gabriella Carpegna, la maestra di Airali e molti altri. L’anno scolastico si apriva con il campo di Agape, organizzato con una o più relazioni introduttive, a cui facevano seguito i gruppi d’approfondimento. Le problematiche più dibattute negli anni riguarderanno: • le 150 ore • la necessità di intrecciare il piano didattico-pedagogico e quello politico • l’esame dei libri di testo in uso nel pinerolese • i decreti delegati • il rapporto insegnanti-studenti • il collegamento con la classe operaia e con i sindacati • la piattaforma e le vertenze sulla scuola Questa prima parte dell’anno era stata molto impegnativa, ma risulta ancora più pesante se sommata al contesto storico che si viveva. Per fare alcuni esempi: • Il 12 gennaio 1973 si svolge lo sciopero generale dell’industria a sostegno dei metalmeccanici, che viene prolungato per l’intera giornata nel Lazio, mentre a Torino è di 8 ore per le carrozzerie di Mirafiori e Lancia. A Genova si svolgono 2 cortei, 3 a Bologna e 7 a Milano. Buona la riuscita dello sciopero anche al sud, in specie a Napoli con 2 cortei e quasi 10.000 persone, a Palermo dove la manifestazione è guidata dai lavoratori dei cantieri navali, a Battipaglia dove si registra il primo sciopero riuscito dalla rivolta dell’aprile 1969. Ovunque il movimento degli studenti aderisce allo sciopero con proprie parole d’ordine. In alcune località, tra le quali Milano, la Ps scioglie autoritariamente i picchetti operai. Sempre a Milano, le forze di polizia intervengono contro gli studenti in sciopero dinanzi al liceo Carducci; dinanzi alla sezione del Msi di San Giovanni , l’auto di 2 militanti del Pci colà parcheggiata, è distrutta a sprangate. A Bergamo, un corteo di 200 o 300 persone che si è staccato dal comizio di Didò a piazza Veneto per andare sotto la sede di Cisnal e Fronte della gioventù, è caricato dalla polizia che usa lacrimogeni e ferma 3 giovani. A Pagani (Salerno), 15 operaie della Fatme, aperta da pochi mesi, vengono licenziate per aver partecipato a picchetti, sfondati da altre dipendenti fedeli alla direzione. • Il 15 gennaio 1973, nonostante il teorico cessate il fuoco in vigore in pendenza dei negoziati di Parigi, verso le 23 gli aerei americani rovesciano tonnellate di bombe sul sud Vietnam. • Il 23 gennaio 1973, a Milano, in serata 100 poliziotti agli ordini del vice questore Paolella e Cardile e del tenente Vincenzo Addante circondano la Bocconi contro una manifestazione di studenti del movimento, indetta per protestare contro i provvedimenti repressivi della libertà di riunione, adottati sulla scia di quelli alla Statale. Un agente di Ps apre il fuoco contro i manifestanti in fuga, colpendo a morte lo studente Roberto Franceschi. Rimane ferito anche l’operaio Roberto Piacentini, al quale una pallottola sfiora un polmone. Il giorno successivo, in gravissime condizioni, verrà incriminato per ben 5 reati. Si verifica nei giorni successivi un rimbalzo di responsabilità per l’intervento della polizia fra il rettore Giordano Dell’Amore e la Questura, che avanza la versione dell’“agente in preda a raptus”. • Il 12 febbraio 1973, le Br sequestrano a Torino il sindacalista della Cisnal Bruno Labate. • Il 22 febbraio 1973, protestano i giovani del movimento contro il ferimento a morte di Vincenzo Caporale. • Il 28 febbraio 1973, a Roma, si apre il processo a carico di Umberto Terracini per ‘vilipendio alle forze armate’, in relazione ad un articolo pubblicato da "Rinascita" sulle responsabilità di polizia e carcerieri nella morte di Franco Serantini. • Il 4 marzo 1973, in Cile, alle elezioni politiche generali, Unidad popular supera il 40% dei voti. • Il 9 aprile 1973, in Francia, dove sono ripartiti scioperi operai ed agitazioni studentesche, sfilano in più di 100.000 a Parigi, 10.000 a Lione, mentre altre manifestazioni si tengono a Tolosa, Rouen, Nantes, Bordeaux, Clermont Ferrand. Gli slogans sono "socialismo, autogestione", "calda calda, la primavera è calda" "cinque anni digià, rieccoci qua". • Il 12 aprile 1973, a Milano, i militanti del Msi con un’azione preordinata danno il via ad incidenti con le forze di polizia che culminano con l’uccisione dell’agente di Ps Antonio Marino, colpito da una bomba a mano. • Il 16 aprile 1973, a Roma, in un incendio doloso della loro abitazione, perdono la vita i fratelli Virgilio e Stefano Mattei, figli del segretario della sezione del Msi di Primavalle, Mario Mattei. Vissi, pertanto, il 25 aprile come una liberazione, una festa. Era il mio primo 25 aprile a contatto di gomito con i mitici partigiani, quelli delle canzoni. Nella manifestazione di Pinerolo vidi, con Piero Baral, un gigante fulvo, di nome Michele, che incuteva timore e pensai tra me e me che dovevo ringraziare il Padreterno che uno di quella stazza fosse dei nostri (saprò, dopo, ahimè, che era buono come il pane). L’11 settembre 1973, il colpo di stato in Cile mi fece ritornare alla realtà, anche perché, in conseguenza di quello, il 12 ottobre, Enrico Berlinguer lancia su "Rinascita" la proposta di un "compromesso storico". Il 24-25 novembre 1973, a Roma, si svolge l’assemblea dei quadri di Pdup e Manifesto, finalizzata all’unificazione tra i due movimenti 12 luglio 1974, a Roma, un congresso nazionale decreta la unificazione di Pdup e Manifesto e il 21 luglio nasce ufficialmente il Partito di unità proletaria (Pdup per il comunismo), che ereditò una rivista mensile Unità proletaria e un quotidiano il Manifesto. Tra il novembre 73 e il luglio 74, mentre in Italia si verificavano fatti importanti come il referendum per l’abrogazione della legge sul divorzio (12 maggio) e la strage di piazza della Loggia a Brescia (28 maggio), a Pinerolo era iniziato un lavorio per fondare una sezione del nascente partito. Sergio Pasetto, Luciano Bertolotto, Piero Cristini e chi scrive diedero il via all’arruolamento. Risposero in tanti da Rocco Iacovino a Valerio Vecchiè, da Piero Baral a Filippo Baravalle. Si riteneva che per dare un significato di ampia aggregazione si dovesse cercare in un’area diversa da quella dei simpatizzanti de il Manifesto e la scelta cadde su una giovane aclista, vicina alle posizioni di Foa: Marita Chiaraviglio, che accettò e fu nominata segretario della sezione. Marita riuscì anche a trovare una sede, di proprietà della Curia, che costasse poco d’affitto: via Vescovado, n.8. Un’ampia stanza, con uno stanzino live usato come ripostiglio per bandiere, striscioni e manifesti vari, sporca, umida, fredda, poco luminosa e senza servizi, ma bella perché era la sede delle speranze. Il Partito si strutturò grosso modo così: io seguivo, con Valerio, i giovani, le scuole e la CGIL-scuola; nel giro di poco tempo si unirono a noi stabilmente Marilena Carpegna, Agnese Honorati ed Aldo Biglia, ma ruotavano intorno al gruppo una ventina di persone; Piero Baral diede vita al gruppo “piccole boite” con i giovani Enzo Bellei, Franco Bergoin, Enzo Ferlenda, Dario Rossetto, Valter Chiaraviglio, Claudio Bolla, Fiorangelo Belotti, che si dotarono di un giornale “Sottopadrone” . Al gruppo operaio esteso partecipavano Elio Bianciotto, Valter Passet con Rosellina e ogni tanto facevano capolino Mauro Sorrentino con la moglie e altri; Filippo Baravalle, di fatto, finì per occuparsi dell’Intergruppi; Sergio Pasetto curava i rapporti con la Federazione di Torino. Progressivamente si consolidò un gruppo, quotidianamente presente in sede, spesso fino a notte alta, formato da Marita, Valerio, Sergio, Filippo, Marilena, Rocco, Agnese, Elio, Enzo Ferlenda e Aldo. Avevamo, inoltre, contatti stretti con il gruppo del Pdup della Valpellice: Piero Granero, Franco Pallard, Pinuccia Balboni e altri. Le riunioni estese erano sempre molto affollate (quaranta/cinquanta persone), visto la vasta area di simpatizzanti di cui il partito era circondato, e i compagni prendevano posto come potevano, spesso per terra. A proposito, in una di queste riunioni è stata abbandonata (non è l’unico oggetto smarrito) una bella giacca di velluto marrone, che, prima per cortesia, poi per inedia, ho conservato (senza mai indossare) per tutti questi anni. L’interessato può rivolgersi a chi scrive per averla. Le due anime del Partito, si può dire, non si sono mai veramente fuse ed era normale definirsi o appartenenti alla maggioranza che faceva riferimento a Lucio Magri, Luciana Castellina, Luigi Pintor, Eliseo Milani o alla minoranza di Vittorio Foa e Silvano Miniati. Escludendo i giovani, ancora immaturi politicamente, la maggioranza del partito a Pinerolo, che veniva dall’esperienza de il Manifesto, si era nutrita di Rosa Luxemburg (sponsorizzata da Rossana Rossanda) e di Antonio Gramsci ed era sostenitrice della cosiddetta teoria consiliare. Con il passare del tempo, tuttavia, anche per l’influsso della Federazione di Torino, da noi la maggioranza della sezione si schierò con la minoranza del partito (chi scrive rimase sulle posizioni di Magri). Questo era motivo di dibattito interno, certamente più pacato degli scontri verbali tra Pasetto, accusato di essere un astratto teorico, poco attento alla concreta realtà operaia, e Baral, a cui veniva addebitato l’esatto opposto. Io, spesso, dovevo mediare tra le posizioni dei due e quando Piero o per dissidi politici o perché distratto dall’impegno con il Collettivo operaio di None, a cui era legato da tempo, cominciò a frequentare sporadicamente il partito, l’assetto si sbilanciò sull’asse Pasetto-Chiaraviglio. Di quegli anni ricordo: • la battaglia per l’autoriduzione delle bollette dell’Enel • la tensione per le prime elezioni dei Consigli nelle scuole • la fiaccolata del 25 aprile ’75, con i PID (Proletari in divisa), a volto coperto, protetti da un nutrito servizio d’ordine formato dall’Intergruppi • l’inizio del dibattito tra le donne del partito sui temi dell’autocoscienza, che darà vita al Collettivo donne di Democrazia proletaria • l’arrivo trafelato in sede, di sera, di Claudio Foti che ci avvertiva che da Roma era arrivata l’indicazione di non dormire in casa per il pericolo di un colpo di Stato (alcuni andarono effettivamente a dormire in montagna). E poi: gli scioperi. Si scioperava per mille motivi: scioperi della Scuola nazionali, regionali, provinciali, locali. Potevano essere legati a vertenze sindacali o di protesta per avvenimenti politici; scioperi a sostegno delle lotte operaie, anche stavolta nazionali, regionali, provinciali o locali (non ne ho perso uno); • le manifestazioni per fatti locali, nazionali o internazionali; • i volantinaggi, nonché la preparazione dei volantini; • la vendita militante del giornale, anche di domenica; • le assemblee sindacali, di partito, d’intergruppo; • i picchettaggi davanti alle scuole e alle fabbriche; • il lavoro di reclutamento e d’informazione ad personam; • le riunioni in sede fino a notte e poi tutti da Carolina a bere una birra, dove incontravamo quelli degli altri gruppi, che magari avevano fatto la stessa trafila. Insomma, giornate piene e faticose, ma che ti facevano sentire in pace con te stesso. Il problema della partecipazione della sinistra rivoluzionaria alle elezioni si ripresentò nel 1975, in occasione delle amministrative. Una volta stabilita l’opportunità di presentarsi, si avviò la costituzione del cartello elettorale, che oltre al Pdup comprendeva Ao, Mls, IV Internazionale, Lega dei comunisti ed altri gruppi minori. Liste di Democrazia proletaria col simbolo del mappamondo, falce e tenaglia furono presentate in sei regioni (Lombardia, Veneto, Umbria, Lazio, Molise, Campania) e in alcuni comuni, tra cui Milano, mentre in altre quattro regioni si presentò il Pdup da solo. A Pinerolo decidemmo di presentarci come Democrazia proletaria. Si iniziò con l’incontro tra la nostra delegazione e quella di Avanguardia operaia. La riunione si tenne solennemente in via Vescovado, erano presenti Marita, Filippo, Elio, Valerio e io da una parte, Claudio Foti, che faceva per dieci, i fratelli Collu, un altro di cui non ricordo il nome ed Emilio Gardiol (venuto, per quel primo incontro da Torino a sostenerli) dall’altra. A quella prima riunione ne seguirono altre e si formò un comitato elettorale. Era necessario, seguendo una moda che, iniziata allora, ha fatto strada: trovare un candidato fuori dai partiti. Si consultarono senza successo personalità della sinistra, si chiese la disponibilità anche ad Alberto Barbero, che era stato simpatizzante de il Manifesto, ma che proprio quell’anno si avvicinava al PCI e si presentava come indipendente nelle liste di quel partito. Alla fine la scelta cadde su Giorgio Gardiol, che riuscì subito, per l’impegno dimostrato, a fugare i dubbi che ancora aleggiavano sulla sua candidatura. La lista di DP ottenne l’1,5% di voti ed un consigliere: Giorgio Gardiol. Anche noi avevamo un nostro rappresentante nelle istituzioni e fu festa in piazza III Alpini con braciole, salsicce, birra e musica (a dire la verità non ricordo se fu dopo o prima delle elezioni, visto che lo scopo era di raccogliere fondi per la campagna elettorale, ma certamente fu un successo. Io ero il cassiere e intascavo disordinatamente i soldi al punto di avere le dodici tasche dei miei abiti stracolme e quattro compagni a fine nottata mi scortarono per evitare malintenzionati, come se fossi una cassaforte ambulante. Il buon risultato nazionale delle elezioni avviò la discussione sulla possibile unificazione Ao-Pdup, oltre che sulla valutazione del Pci. Questi due temi furono al centro del primo congresso nazionale del Pdup per il comunismo del gennaio 1976 a Bologna. Due relazioni introduttive che esprimevano differenti valutazioni: quella di Miniati valorizza i movimenti e le lotte, e spinge per l’unificazione con Ao, quella della Rossanda sostiene che nessuna alternativa è possibile senza il Pci. Alla fine, Magri e Rossanda ottengono il 47% dei voti, Foa, Miniati e Migone il 44%, e la mozione di mediazione di Pintor il 9%. Con le elezioni politiche fissate per il 20 giugno, si decise di ripresentare la sigla Democrazia proletaria, col simbolo parzialmente modificato rispetto all’anno precedente (la tenaglia diventa un martello). Al cartello elettorale partecipò anche LC, dopo notevoli ostilità da parte del Pdup. Il comitato centrale, infatti, si divise tra la proposta di Miniati di accogliere LC e quella di Magri e Pintor, contraria. La consultazione delle federazioni diede il 70% di contrari, ma nonostante ciò, di fronte ai rischi di spaccatura della sinistra rivoluzionaria nell’imminenza delle elezioni, il Pdup accettò LC, i cui candidati avrebbero trovato posto in fondo alle liste. DP ottenne 556.000 voti (1,5%) ed elesse sei deputati: Magri, Milani, Castellina (Pdup), Gorla e Corvisieri (Ao), Pinto (Lc). Foa, che era stato eletto a Torino e a Napoli, rinunciò in entrambe le circoscrizioni facendo subentrare Corvisieri e Pinto. Nacque poi il "governo delle astensioni", un monocolore Andreotti con l’astensione di Pci e Psi. La ricerca di un nuovo ruolo e il giudizio sul Pci divisero le organizzazioni della nuova sinistra dall’autunno 1976 alla primavera 1977 con un dibattito aspro. LC decise di "sciogliersi nel movimento" nel congresso di Rimini del novembre 1976. Dopo le irricucibili spaccature tra donne e operai di LC, questo partito, fallita la prospettiva dell’alternativa basata sul coinvolgimento del Pci, individuò una nuova prospettiva strategica nel "ritorno alle origini" movimentiste e nel rifiuto dell’organizzazione, prospettiva resa credibile dalla forza del movimento del ‘77. Per quanto riguarda Pdup e Ao, iniziò un dibattito lungo e vivace sulla valutazione del Pci e sul ruolo e le prospettive della nuova sinistra. Dal comitato centrale del 27 novembre la crisi precipita: Magri si dimette da segretario, poi ritorna e sostituisce il tesoriere nazionale, cercando di estromettere la minoranza di Foa e Miniati dalla gestione del finanziamento pubblico. Anche in Ao compaiono profonde divisioni tra l’area di Vinci e quella del segretario Campi. Il 20 febbraio 1977. il Manifesto pubblica un documento firmato da 32 componenti del comitato centrale del Pdup e da 30 di quello di Ao. Il documento critica la prospettiva della radicalizzazione delle lotte. Il 26 febbraio si riunisce l’ultimo comitato centrale del Pdup per il comunismo, che si conclude con 31 voti favorevoli e 30 contrari ad un ordine del giorno che ribadisce il documento dei 62. Il Pdup per il comunismo si scisse: la maggioranza di Magri e Rossanda, la minoranza di Foa e Miniati. In aprile si tenne a Milano il quinto congresso di Ao, che vide la divisione tra la maggioranza di Vinci e Gorla e la minoranza di Campi. La minoranza di Ao e la maggioranza del Pdup si unificarono mantenendo la sigla di Pdup per il comunismo, mentre la maggioranza di Ao e la minoranza del Pdup costituirono il Coordinamento di Democrazia proletaria. Nel gruppo parlamentare solo Gorla rimase legato al progetto di Costituente di Dp. Inevitabilmente, anche a Pinerolo, sotto la spinta degli avvenimenti nazionali, si era aperto un serrato confronto. Il giudizio negativo sulle scelte del PCI e sul compromesso storico era condiviso da tutta la nuova sinistra, tuttavia alla metafora del topolino che vuole spingere l’elefante, ma resta schiacciato da esso, era facile rispondere che senza l’elefante il topolino non va da nessuna parte e da questo si passava a privilegiare i Consigli piuttosto che i CUB e viceversa. Mutatis mutandis, oggi sembra di rivivere una problematica simile tra l’elefante Triciclo e i topolini dei partitini di sinistra. La situazione, tuttavia, precipitò e la minoranza (in sede locale) magriana, su sollecitazione di Foti (che era di un altro partito), fu allontanata dalla sede con un grottesco rituale, tra cui il cambio della serratura. Nel ’78 ci fu il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. Nel gennaio-febbraio 1979, il Pdup era orientato a presentare la propria lista, insieme al Mls, ma a fine marzo uscì un documento firmato da 61 esponenti della sinistra sindacale, intellettuali, esponenti del dissenso cristiano, ex Lc che proponevano una lista unitaria, con un equilibrio tra candidature di organizzazione e di movimento. Anche la sinistra sindacale era orientata per la lista unitaria, anzi si offrì come "garante" dell’iniziativa. Nsu era fortemente voluta dai dirigenti di Dp provenienti dal Pdup, soprattutto da Foa, che volle l’allargamento di Nsu agli ex Lc, il che contribuì molto alla contrarietà di Magri e del Pdup. Magri, infatti, che puntava a raccogliere un’area intermedia tra la nuova sinistra e il Pci, temeva che l’estremismo degli ex Lc potesse spaventare quest’area. Foa gestì in buona parte la rappresentanza esterna di Nsu in campagna elettorale, in primo luogo quella televisiva, caratterizzando la lista secondo la sua concezione del "movimentismo", insistendo che non c’era necessità di darsi un programma perché il programma veniva dato già pronto dai movimenti, dei quali Nsu era l’espressione politico-elettorale. La sconfitta fu secca: Nsu ebbe 293.000 voti (0,8%) e nessun seggio, il Pdup, invece, ebbe 501.000 voti (1,4%) e mantenne i sei seggi (Nsu ebbe ovunque meno dell’1% tranne a Milano, Trento, Roma, Cagliari). Non ricordo se in queste elezioni o in quelle successive, ma mi ritrovai con Claudio Foti (sì, proprio lui), Valerio Vecchiè, Mario Garnero e Patrizia Santoro ad affiggere, di notte, manifesti elettorali, come dei cani randagi che vagavano senza meta. La parabola si era chiusa, ma quegli anni rimangono nella memoria “formidabili”.

25 gennaio 2010

SALVIAMO LA COSTITUZIONE, TUTTI IN PIAZZA IL 30 GENNAIO



30 Gennaio Pinerolo, Portici di C.so Torino

dalle ore 10 alle ore 17


I continui attacchi alla Costituzione hanno spinto in questi ultime mesi varie organizzazioni a promuovere mobilitazioni di piazza, nazionali e territoriali. Da quella del 3 ottobre per la libertà d'informazione al No B Day, alle mille piazze promosse dal Partito Democratico. Manifestazioni molto partecipate, segno evidente che c'è una parte consistente di cittadini che non si rassegna all'idea di subire, quotidianamente, uno stravolgimento delle regole democratiche, un sovvertimento dei principi costituzionali; il passaggio dallo stato di diritto allo stato della forza.

Di fronte all'ennesimo tentativo di saccheggiare la Costituzione, che si concretizza principalmente nelle manovre del Governo per garantire impunità a Berlusconi (a partire dal nuovo Lodo Alfano) e nei proclami irresponsabili di qualche ministro che chiede addirittura la cancellazione dell'Art. 1 (L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro...), abbiamo soltanto due strade: o assistere passivamente al delirio distruttivo dell'establishment berlusconiano o reagire con la prontezza e la determinazione democratica che la situazione richiede. Noi scegliamo la seconda. La Costituzione della Repubblica Italiana nata dalla Resistenza antifascista rimane, a 62 anni dalla sua emanazione, il principale strumento di garanzia del patto di convivenza civile di una società che fonda le proprie basi sul principio di uguaglianza tra i cittadini e l'anticorpo più efficace contro il rischio di nuove derive autoritarie. E' per questo che ad ogni cittadino democratico compete difenderla e portarla a completa attuazione. Noi siamo tra questi.

02 settembre 2007

Mi dimetto da suddito e da cittadino...

Egregio Alberto Asor Rosa,

ti sei dimesso da intellettuale di sinistra, mentre…

 

il sottoscritto si dimette da cittadino italiano e da suddito della burocrazia italiana, perché

 

il capo del governo, cui aveva dato piena fiducia, ha avuto la premura come la cosa più importante per un Italia azzoppata delle sue gambe, di liberalizzare le patenti dei taxi, i farmaci da banco, di far uscire dalle patrie galere i deputati ivi condannati e

non avuto alcuna premura

– poi si farà… -

di liberare il parlamento dai delinquenti,

di liberare il paese dalle mafie della politica, dell’economia, della mala vita organizzata,

di togliere la benda agli elettori, facendo sì che votassero ad occhi aperti i candidati che, purtroppo, ancora, i partiti potrebbero arbitrariamente mettere sotto il loro muso…

 

Il capo del governo si è invece scoperte due sole ambiziose vocazioni:

1) riportare ordine nelle casse dello stato, non pensando che così facendo offriva su un piatto d’argento i conti dello stato migliorati,

- ma con il malcontento generale e insuperabile degli italiani che pagano… -

al prossimo governo che sarà capitanato da quel ladro di Berlusconi, che si mangerà in breve tempo i frutti di tanti sacrifici dei cittadini;

2) portare la pace del Medio Oriente;

come se, mentre brucia la propria casa, il capo di famiglia va a pacificare i polli del vicino, che si beccano l’un l’altro…

 

Boris Longojev

 

 

 

 

 

 

26 agosto 2007

Ambulanze bloccate sul cavalcavia per far passare le auto blu di Berlusconi.

Certamente! Se bloccano le auto blu del Cavaliere, per dare strada libera ad un'autoambulanza, il Nano potrebbe sortire un attentato e anche morirvi.

E se muore Berlusconi,povera Italia...!

Se invece muore l'infermo mentre viene trasportato in ospedale, l'Italia si arricchirà un po' con la tassa della successione pagata dagli eredi di quel poveraccio...

23 agosto 2007

Il "Babau"

L’equazione extracomunitario-delinquenza è diventata nell’Italia del pensiero unico un dato di fatto. Il primo indiziato è sempre straniero. Questa sensazione, vera o falsa che sia, l’italiano la vive sulla sua pelle, tutti i giorni. Ai semafori con il lavavetri e il mendicante. Nei centri cittadini con i bambini per terra a chiedere l’elemosina. Nei viali con le ragazze e i ragazzi minorenni costretti a prostituirsi, una vera pedofilia di massa. Se castrassero chimicamente gli italiani che li caricano ci estingueremmo. Con i furti dei minorenni Rom alla luce del sole, alla Stazione Centrale di Milano o alla Stazione Termini di Roma. L’illegalità del povero, dello sfruttato, di chi non ha niente da perdere, dello schiavo bambino è sempre più evidente. Sempre più pesante, più opprimente. In qualunque conversazione esce dal cappello l’uomo nero nordafricano o il feroce slavo. La cronaca quotidiana è un bollettino di guerra. Stupri, omicidi, incidenti stradali.
Ho preso l’aereo, ho tolto giacca, cintura, orologio, tutto quello che avevo in tasca, le scarpe. Mi tenevo i pantaloni con le mani e pensavo al terrorismo. Ai clandestini che arrivano a Lampedusa dal nordafrica. Mi domandavo se erano controllati come un cittadino italiano a Fiumicino. Se fossi Al Qaeda userei i barconi, non l’aereo.
Il razzismo all’italiana cosa produrrà? Un neo fascismo? Ghetti? Pogrom? E chi alimenta questa deriva? E perchè? L’accoglienza dovrebbe avere delle regole. La prima è che chi entra deve essere accolto come un essere umano: lavoro, casa, diritti civili. La seconda è che chi entra irregolarmente commette un reato, va messo in galera. Il foglio di via con qualche giorno di tempo per lasciare l'Italia è una barzelletta che non fa più ridere. La terza è che chi commette un reato lo sconta a casa sua. L’indulto ha svuotato le prigioni da cittadini stranieri, era sufficiente un rimpatrio. A chi fa comodo questa situazione? Non agli stranieri regolari che pagano per tutti, non a chi abita nelle periferie urbane o nei pressi di campi rom abusivi. Non alla salute civica di questa nazione. Incassano i politici, la sinistra e la destra. La prima con il buonismo dei salotti, la seconda con la paura del diverso. Per loro il clandestino si pesa in voti.

                                                                       DINO BUZZATI

07 agosto 2007

Possedere una vocazione.

 

Guai a noi quando ci imbattiamo in un qualcuno che si è inventata una vocazione, senza possedere le proporzionate attitudini.

 

Quella donnetta s’è inventata la vocazione di madre superiora… ma povere le monache che incapperanno sotto il suo scettro…

Quell’altra s’è sognata di possedere la vocazione di crocerossina… ma non sopporta la vista di una goccia di sangue….

Quella pasticciona ha fantasticato di possedere la vocazione di dolciera… ma attenta alla salute degli altri con i suoi pastrocchi…

Quella nata-stanca è convinta di avere la vocazione di massaia… La ritroviamo sempre alla finestra!

Quel tapino s’è immaginato di possedere la vocazione di Don Chisciotte… ma lo ritroviamo sempre atterrato, caduto giù dal suo ronzino…

Quella buona madre di famiglia s’è convinta di essere una brava parsimoniosa economa: deve però fare shopping almeno quattro ore al giorno…

Quell’altro si ritrova di possedere la vocazione di commerciante, ma andrà presto alla malora…

Quel tizio s’è ritrovato di possedere la vocazione di poeta… Ahinoi!

Quest’altro s’è illuso di possedere la vocazione di maratoneta… Arriverà primo o secondo, a partire dagli ultimi…

Quel gironzolane s’è immaginato di possedere la vocazione di esploratore… Si perderà ai giardini pubblici.

Caio ha creduto di possedere la vocazione di sagrestano… ma non riesce ad accendere una candela.

Sempronio invece s’è inventata la vocazione di rapinatore… Andrà. Ma come gli tremano le gambe…!

Un altro ancora è certo di possedere la vocazione di persona pratica, con i piedi a terra… ma ha sempre la testa tra le nuvole…

Quel cretino è sicuro di possedere la vocazione di mafioso… ma presto sarà spento dalla famiglia rivale …

 

 Cos’è mai una vocazione?

 

Boris Longojev

 

05 agosto 2007

Un prete osa contestare il teologo Ratzinger

 

Papa Ratzinger, nel suo libro "Gesù di Nazaret", a pagina 57, scrive: “Veniamo alla seconda tentazione di Gesù...Anzitutto c’è qualcosa di strano. Per attirare Gesù nella sua trappola il diavolo cita la Sacra Scrittura. Cita il Salmo 91, 11, che parla della protezione che Dio garantisce all’uomo fedele...L’intero colloquio della seconda tentazione si configura come un dibattito tra due esperti della Scrittura: il diavolo vi appare come teologo...Così l’interrogativo circa la struttura del curioso dialogo...”

 

Intelligente il colto Papa, ma come accade di sovente a persone intelligenti, anche ingenuo. Nell’episodio, infatti, non c’è nulla di strano, né di curioso, se si tiene presente che non è il diavolo in persona a citare la Sacra Scrittura, ma Gesù stesso. Gesù è il teologo, l’esperto della Scrittura. Il dibattito è interiore; avviene nella mente di Gesù. Ha la tentazione (suscitata, secondo l’evangelista, dal diavolo) di mettere alla prova il Padre; ma si ravvede immediatamente: «Non tenterai il Signore Dio tuo». E’ strano piuttosto che il Pontefice trovi credibile un diavolo (una sorta di demoniaca incarnazione?) che non solo recita le Scritture, ma che, prelevato tranquillamente il Signore dal deserto, lo faccia levitare sulla guglia del Tempio in Gerusalemme; e poi se lo porti su un monte altissimo per mostrargli tutti i regni del mondo...Ma insomma!

Interviene Boris Longojev:

 

Per quanto ne so, i demoni vennero importati nella cultura ebraica durante la deportazione in Assiria e Babilonia dalle credenze di quei popoli..

Prima, ogni cosa, che con le conoscenze possedute non riuscivano a spiegarsi, veniva attribuita a Dio.

Per cui la malattia, la morte, la guerra, ogni iattura era inspiegabilmente voluta e mandata da Dio.

Quando durante la deportazione appresero che oltre Dio, vi erano creature angeliche, di vari, di molti gradi, e creature diaboliche, satanassi, demoni, luciferi, gli ebrei non persero tempo a imbrigliarle nella loro teologia: finalmente non dovevano dare più la colpa a Dio, ma la potevano scaricare ai demoni.

I cristiani e poi i cattolici, eredi del sacro patrimonio culturale della bibbia, non riuscirono a leggere queste presenze fiabesche come strumenti per appianare taluni misteri che non riuscivano ancora a spiegarsi. Ad esempio, l'epilessia era l'incorporazione del diavolo in una persona...

Questa lettura si è protratta oltre i tempi necessari. Quando la scienza ha trovato la spiegazione di certi mali, non occorrerà ancora riferirsi ai diavoli per star sicuri nei nostri panni.

Purtroppo molti cristiani, e i cattolici in particolar modo, con a capo il papa, si accaniscono a difendere questa FEDE del diavolo, come, senza di questa, non si possano assumere le proprie responsabilità personali e sociali... e non si possa entrare nel Regno di Dio.